LA VERA STORIA DI ISABELLA MORRA
I sonetti di Isabella
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I sonetti di Isabella
I sonetti di Isabella
La vicenda di Isabella, vittima di un efferato delitto, è ripercorsa in questo saggio minuzioso con l’aiuto di documenti inediti. L’intento dall’Autore, Pasquale Montesano, è quello di fugare alcune ombre esistenti sul percorso umano e poetico di una delle voci più belle del 1500.
Per renderle omaggio ecco riportati, qui di seguito, i sonetti di Isabella.
Elenco dei sonetti
Elenco dei sonetti
I fieri assalti di crudel Fortuna
I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo piangendo, e la mia verde etate;
me che ’n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate;
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna,
e col favor de le sacrate Dive,
se non col corpo, almen con l’alma sciolta
essere in pregio a più felice rive.
Questa spoglia, dov’or mi trovo involta,
forse tale alto Re nel mondo vive
che ’n saldi marmi la terrà sepolta.
scrivo piangendo, e la mia verde etate;
me che ’n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate;
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna,
e col favor de le sacrate Dive,
se non col corpo, almen con l’alma sciolta
essere in pregio a più felice rive.
Questa spoglia, dov’or mi trovo involta,
forse tale alto Re nel mondo vive
che ’n saldi marmi la terrà sepolta.
I fieri assalti di crudel Fortuna
Sacra Giunone, se i volgari amori
Sacra Giunone, se i volgari amori
son de l’alto tuo cor tanto nemici,
i giorni e gli anni miei chiari felici
fa’ con tuoi santi e ben concessi ardori.
A voi consacro i miei verginei fiori,
a te, o dea, e ai tuoi pensieri amici,
o de le cose sola alme beatrici,
che colmi il ciel de’ tuoi soavi odori.
Cingimi al collo un bello aurato laccio
de’ tuo’ più cari ed umili soggetti,
che di servir a te sola procaccio.
Guida Imeneo con sì cortesi affetti
e fa’ sì caro il nodo ond’io mi allaccio,
ch’una sola alma regga i nostri petti.
son de l’alto tuo cor tanto nemici,
i giorni e gli anni miei chiari felici
fa’ con tuoi santi e ben concessi ardori.
A voi consacro i miei verginei fiori,
a te, o dea, e ai tuoi pensieri amici,
o de le cose sola alme beatrici,
che colmi il ciel de’ tuoi soavi odori.
Cingimi al collo un bello aurato laccio
de’ tuo’ più cari ed umili soggetti,
che di servir a te sola procaccio.
Guida Imeneo con sì cortesi affetti
e fa’ sì caro il nodo ond’io mi allaccio,
ch’una sola alma regga i nostri petti.
Sacra Giunone, se i volgari amori
D’un alto monte onde si scorge il mare
D’un alto monte onde si scorge il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.
Ma la mia adversa e dispietata stella
non vuol ch’alcun conforto possa entrare
nel tristo cor, ma, di pietà rubella,
la calda speme in pianto fa mutare.
Ch’io non veggo nel mar remo né vela
(così deserto è lo infelice lito)
che l’onde fenda o che la gonfi il vento.
Contra Fortuna alor spargo querela
ed ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento.
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.
Ma la mia adversa e dispietata stella
non vuol ch’alcun conforto possa entrare
nel tristo cor, ma, di pietà rubella,
la calda speme in pianto fa mutare.
Ch’io non veggo nel mar remo né vela
(così deserto è lo infelice lito)
che l’onde fenda o che la gonfi il vento.
Contra Fortuna alor spargo querela
ed ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento.
D'un alto monte onde si scorge il mare
Quanto pregiar ti puoi, Siri mio amato
Quanto pregiar ti puoi, Siri mio amato,
de la tua ricca e fortunata riva
e de la terra, che da te deriva
il nome, ch’al mio cor oggi è sì grato;
s’ivi alberga colei, che ’l cielo irato
può far tranquillo e la mia speme viva,
malgrado de l’acerba e cruda Diva,
ch’ogni or s’esalta del mio basso stato.
Non men l’odor de la vermiglia Rosa
di dolce aura vital nodrisce l’alma
che soglian farsi i sacri Gigli d’oro.
Sarà per lei la vita mia gioiosa,
de’ grievi affanni deporrò la salma
e queste chiome cingerò d’alloro.
de la tua ricca e fortunata riva
e de la terra, che da te deriva
il nome, ch’al mio cor oggi è sì grato;
s’ivi alberga colei, che ’l cielo irato
può far tranquillo e la mia speme viva,
malgrado de l’acerba e cruda Diva,
ch’ogni or s’esalta del mio basso stato.
Non men l’odor de la vermiglia Rosa
di dolce aura vital nodrisce l’alma
che soglian farsi i sacri Gigli d’oro.
Sarà per lei la vita mia gioiosa,
de’ grievi affanni deporrò la salma
e queste chiome cingerò d’alloro.
Quanto pregiar ti puoi, Siri mio amato
Non sol il ciel vi fu largo e cortese
Non sol il ciel vi fu largo e cortese,
caro Luigi, onor del secol nostro,
del raro stil, del ben purgato inchiostro,
ma del nobil soggetto onde v’accese.
Alto Signor e non umane imprese
ornan d’eterna fronde il capo vostro,
cose più da pregiar che gemme od ostro,
che dai tarli e dal tempo son offese.
Il sacro volto aura soave inspira
al dotto petto, che lo tien fecondo
di glorïosi, anzi divini carmi.
Francesco è l’arco de la vostra lira,
per lui sète oggi a null’altro secondo,
e potete col son rompere i marmi.
caro Luigi, onor del secol nostro,
del raro stil, del ben purgato inchiostro,
ma del nobil soggetto onde v’accese.
Alto Signor e non umane imprese
ornan d’eterna fronde il capo vostro,
cose più da pregiar che gemme od ostro,
che dai tarli e dal tempo son offese.
Il sacro volto aura soave inspira
al dotto petto, che lo tien fecondo
di glorïosi, anzi divini carmi.
Francesco è l’arco de la vostra lira,
per lui sète oggi a null’altro secondo,
e potete col son rompere i marmi.
Non sol il ciel vi fu largo e cortese
Fortuna che sollevi in alto stato
Fortuna che sollevi in alto stato
ogni depresso ingegno, ogni vil core,
or fai che ’l mio in lagrime e ’n dolore
viva più che altro afflitto e sconsolato.
Veggio il mio Re da te vinto e prostrato
sotto la rota tua, pieno d’orrore,
lo qual, fra gli altri eroi, era il maggiore
che da Cesare in qua fusse mai stato.
Son donna, e contra de le donne dico
che tu, Fortuna, avendo il nome nostro,
ogni ben nato cor hai per nemico.
E spesso grido col mio rozo inchiostro
che chi vuole esser tuo più caro amico
sia degli uomini orrendo e raro mostro.
ogni depresso ingegno, ogni vil core,
or fai che ’l mio in lagrime e ’n dolore
viva più che altro afflitto e sconsolato.
Veggio il mio Re da te vinto e prostrato
sotto la rota tua, pieno d’orrore,
lo qual, fra gli altri eroi, era il maggiore
che da Cesare in qua fusse mai stato.
Son donna, e contra de le donne dico
che tu, Fortuna, avendo il nome nostro,
ogni ben nato cor hai per nemico.
E spesso grido col mio rozo inchiostro
che chi vuole esser tuo più caro amico
sia degli uomini orrendo e raro mostro.
Fortuna che sollevi in alto stato
Ecco ch’una altra volta, o valle inferna
Ecco ch’una altra volta, o valle inferna,
o fiume alpestre, o ruinati sassi,
o ignudi spirti di virtute e cassi,
udrete il pianto e la mia doglia eterna.
Ogni monte udirammi, ogni caverna.
ovunqu’io arresti, ovunqu’io mova i passi;
ché Fortuna, che mai salda non stassi.
cresce ogn’or il mio mal, ogn’or l’eterna.
Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte,
o fere, o sassi, o orride ruine,
o selve incolte, o solitarie grotte,
ulule, e voi del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d’altro miserando fine.
o fiume alpestre, o ruinati sassi,
o ignudi spirti di virtute e cassi,
udrete il pianto e la mia doglia eterna.
Ogni monte udirammi, ogni caverna.
ovunqu’io arresti, ovunqu’io mova i passi;
ché Fortuna, che mai salda non stassi.
cresce ogn’or il mio mal, ogn’or l’eterna.
Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte,
o fere, o sassi, o orride ruine,
o selve incolte, o solitarie grotte,
ulule, e voi del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d’altro miserando fine.
Ecco ch’una altra volta, o valle inferna
Torbido Siri, del mio mal superbo
Torbido Siri, del mio mal superbo,
or ch’io sento da presso il fin amaro,
fa’ tu noto il mio duolo al Padre caro,
se mai qui ’l torna il suo destino acerbo.
Dilli come, morendo, disacerbo
l’aspra Fortuna e lo mio fato avaro
e, con esempio miserando e raro,
nome infelice a le tue onde serbo.
Tosto ch’ei giunga a la sassosa riva
(a che pensar m’adduci, o fiera stella,
come d’ogni mio ben son cassa e priva!),
inqueta l’onde con crudel procella
e di’: – Me accreber sì, mentre fu viva,
non gli occhi no, ma i fiumi d’Isabella.
or ch’io sento da presso il fin amaro,
fa’ tu noto il mio duolo al Padre caro,
se mai qui ’l torna il suo destino acerbo.
Dilli come, morendo, disacerbo
l’aspra Fortuna e lo mio fato avaro
e, con esempio miserando e raro,
nome infelice a le tue onde serbo.
Tosto ch’ei giunga a la sassosa riva
(a che pensar m’adduci, o fiera stella,
come d’ogni mio ben son cassa e priva!),
inqueta l’onde con crudel procella
e di’: – Me accreber sì, mentre fu viva,
non gli occhi no, ma i fiumi d’Isabella.
Torbido Siri, del mio mal superbo
Se a la propinqua speme nuovo impaccio
Se a la propinqua speme nuovo impaccio
o Fortuna crudele o l’empia Morte,
com’han soluto, ahi lassa, non m’apporte,
rotta avrò la prigione e sciolto il laccio.
Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,
ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte:
a questo or chiudo, or apro a quel le porte
e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.
Con ragione il desio dispiega i vanni
ed al suo porto appresso il bel pensiero
per trar quest’alma da perpetui affanni.
Ma Fortuna al timor mostra il sentiero
erto ed angusto e pien di tanti inganni,
che nel più bel sperar poi mi dispero.
o Fortuna crudele o l’empia Morte,
com’han soluto, ahi lassa, non m’apporte,
rotta avrò la prigione e sciolto il laccio.
Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,
ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte:
a questo or chiudo, or apro a quel le porte
e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.
Con ragione il desio dispiega i vanni
ed al suo porto appresso il bel pensiero
per trar quest’alma da perpetui affanni.
Ma Fortuna al timor mostra il sentiero
erto ed angusto e pien di tanti inganni,
che nel più bel sperar poi mi dispero.
Se a la propinqua speme nuovo impaccio
Scrissi con stile amaro, aspro e dolente
Scrissi con stile amaro, aspro e dolente
un tempo, come sai, contra Fortuna,
sì che null’altra mai sotto la luna
di lei si dolse con voler più ardente.
Or del suo cieco error l’alma si pente,
che in tai doti non scorge gloria alcuna.
e se de’ beni suoi vive digiuna.
spera arricchirsi in Dio chiara e lucente.
Né tempo o morte il bel tesoro eterno,
né predatrice e vïolenta mano
ce lo torrà davanti al Re del cielo.
Ivi non nuoce già state né verno,
ché non si sente mai caldo né gielo.
Dunque ogni altro sperar, fratello, è vano.
un tempo, come sai, contra Fortuna,
sì che null’altra mai sotto la luna
di lei si dolse con voler più ardente.
Or del suo cieco error l’alma si pente,
che in tai doti non scorge gloria alcuna.
e se de’ beni suoi vive digiuna.
spera arricchirsi in Dio chiara e lucente.
Né tempo o morte il bel tesoro eterno,
né predatrice e vïolenta mano
ce lo torrà davanti al Re del cielo.
Ivi non nuoce già state né verno,
ché non si sente mai caldo né gielo.
Dunque ogni altro sperar, fratello, è vano.
Scrissi con stile amaro, aspro e dolente
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dove l’onta doveva essere lavata col sangue. (…)
dove l’onta doveva essere lavata col sangue. (…)
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dove l’onta doveva essere lavata col sangue. (…)
dove l’onta doveva essere lavata col sangue. (…)
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LA VERA STORIA DI ISABELLA MORRA
I sonetti di Isabella



